
la sede cinese del gruppo Lafert (dal sito dell'azienda)
In un a nota congiunta dei sindacati, datata 29 gennaio, apprendiamo che gli incontri tra quest’ultimi e la dirigenza di Lafert non ha prodotto ancora un’evoluzione delle posizioni. L’azienda è ancora intenzionata alla chiusura della sede di Fusignano. Gli incontri di queste settimane però non sono stati tutti in questa regione, ma il tavolo si è spostato anche in Veneto con i sindacati locali perché anche il sito di San Donà di Piave è in difficoltà, attualmente c’è una cassa integrazione che occupa 4 giorni su 5.
Dagli incontri l’azienda rilancia minacciando un tavolo di crisi regionale in veneto e nazionale per tutti i siti produttivi italiani. In pratica Lafert rilancia all’accusa di assenza di investimenti, denunciata dai sindacati, con l’apertura di una crisi nazionale facendo capire che se si continuano a mettere i bastoni tra le ruote su Fusignano, potrebbero arrivare a licenziare anche negli altri siti.
Non convincono le cifre dichiarate dall’azienda nel piano industriale, tra l’altro questi dati non sono mai dichiarati negli anni passati. Il gruppo dovrebbe recuperare sei milioni di passivo effettuando dei tagli alle spese, revisionando i contratti dei servizi, revisionando ed efficientando la produzione (problemi già segnalati tante volte dalle RSU) ed infine con una crescita delle vendite aprendo al mercato nord americano.
Una strategia che vedrebbe la chiusura dello stabilimento di Fusignano come l’ultimo punto per arrivare al pareggio sul passivo. Questo piano sarebbe la derivazione di bocciature precedenti da parte della Sumitomo Heavy Industries Ltd, proprietaria giapponese del Gruppo Lafert, i quali vogliono il rientro immediato delle perdite nel 2025 la penultima revisione di questo piano era di circa 1 milione e 6mila euro di passivo, quest’ultima si coprirebbe proprio con la chiusura del sito di Fusignano.
Sempre secondo l’azienda appena fatta la chiusura magicamente si prevedono aumenti del fatturato, non dimostrati e questo, oltre ovviamente alla chiusura della fabbrica di Fusignano, per i sindacati non è accettabile, non è accettabile anche l’idea di tagli lineari. I sindacati puntano a bloccare i licenziamenti e a rilanciare i siti con degli investimenti, e ci sarebbero tutti i presupposti perché i motori elettrici prodotti dall’azienda sono richiesti, le commesse a dicembre sono aumentate del 60% rispetto al 2024.
La Lafert però gioca una partita strana, dove nasconde le sue vere intenzioni, ma unendo i puntini si possono intuire. Sui motori ad esempio l’azienda in alcuni incontri li denigra dichiarando che essi sono prodotti in perdita e che converrebbe quindi acquistare lo stesso da aziende rivali cinesi. Quando però i sindacati chiedono di lasciare i brevetti a Fusignano e magari provare a far gestire l’azienda ai lavoratori, ricevono un no netto. Si è parlato anche di riconversione del sito, che Lafert vede con favore ma senza di loro e imponendo, ad un eventuale nuova produzione, che essa non sia concorrente, inoltre la conversione deve essere fatta a spese dello Stato con la cassa integrazione. In pratica l’azienda chiude non mette un euro e vuole imporre la linea ai lavoratori licenziati. Assurdo.
Unendo questi puntini la strategia di Lafert è chiara: si vuole illudere lo stabilimento di San Donà traferendo lì la produzione di Fusignano, ma in breve tempo, uno massimo due anni, chiudere il resto dei siti italiani e produrre nella sede cinese già presente nel gruppo, portando via i brevetti. Il prossimo incontro sarà il 6 febbraio con lo scopo di rivedere il piano industriale, se le trattative non evolvono è probabile che finirà la tregua tra aziende e sindacati e aumenteranno le mobilitazioni, le quali dovranno avere la massima solidarietà e partecipazione delle istituzioni dei partiti e delle associazioni del territorio, la società civile non lasci da soli i lavoratori e lavoratrici della Lafert.